Mefite
Luoghi di straordinaria bellezza paesaggistica e di incredibile forza naturale, luoghi che non ti aspetti e che non immagini si nascondono nella regione Campania, come le Mefite di Rocca San Felice, provincia di Avellino, piccolo lago di origine solfurea nella Valle d’Ansanto. Già noto a Virgilio che ne raccontava la forza poderosa tale da condurre in un sonno eterno, il laghetto si offre alla vista dello spettatore come un’arida distesa dall’odore forte e dal vivace ribollire delle acque.
Esalazioni gassose di anidride carbonica e acido solforico (che produce l’odore acre) producono il ribollire delle acque in una zona non vulcanica. La vegetazione nelle immediate vicinanze è assente e in particolari condizioni climatiche le esalazioni risultano essere addirittura letali. Ecco il motivo per cui Virgilio descrive il luogo come uno degli accessi agli Inferi simile per le caratteristiche al Lago d’Averno nei Campi Flegrei. Qua è là sono visibili chiazze gialle di zolfo e risulta essere un luogo unico al mondo per le concentrazioni di anidride carbonica.
La storia
Per comprendere bene il significato della Mefite, occorre partire dai secoli XI-X A. C., quando, gli Oschi (o Osci o Ausoni), erano stanziati a sud dell’Umbria. L’espansione Etrusca, unitamente alla crescita demografica degli Oschi (o Osci), indusse alcune loro tribù a muoversi lungo l’Appennino in direzione sud. La destinazione finale non era predefinita, nel senso che non veniva decisa a priori, ma dipendeva dalla direzione presa dall’animale-guida: per quella parte che prese il nome di Sanniti fu il cinghiale, per gli Hirpini fu il lupo (hirpus).I resti del tempio, già individuato dal Santoli verso il 1780, vennero alla luce a seguito di scavi archeologici compiuti negli anni ’50 e ’60 di G. O. Onorato e le successive di B. D. D’Agostino e I. Rainini, restituendoci oggetti d’ambra, oggetti d’oro, argento e bronzo, statuette, ceramiche, monete ed ex-voto (es. mani e piedi votivi), armi in ferro e bronzo, vasellame, oggi visibili presso il Museo Irpino di Avellino. Si tratta di una testimonianza “corposa” della cultura figurativa italica, dall’epoca sannitica (leggasi hirpina), all’influsso ellenistico sino alle soglie della romanizzazione.